Foto: Locandina del Film |
Questa Berlinale giunta alla sessantaquattresima edizione apre i battenti
con un film al dir poco bello, ma dal finale al dir poco brutto; che va comunque perdonato se il regista è Wes Anderson con The
Grand Budapest Hotel fuori concorso e prodotto anche con soldi tedeschi,
sempre più (onni-)presenti in coproduzioni fatte perché Dieter Kosslick le reclami
al suo festival. Anche se poi, vuol dovere di cronaca, l’intera storia è tratta
dal romanzo di Stephan Zweig autore tedesco, amato in patria e quasi conosciuto
in America. Grande cinema e grande letteratura… In effetti, l’intera
strutturazione è proprio da grande autore e Wenderson più che accusato di
essere troppo vicino a Baz Luhrman (Moulin
Rouge 2001) andrebbe invece lodato, perché a differenza di quest’ultimo, sa
rendere onore al cinema con romanzi di altissimo rango, portando (unico) letteratura e
cinema al connubio consensuale e se ciò non
bastasse, anche il pubblico in sala a sentirsi intellettuale. Niente male, per un cinema da mainstream,
no? Per non parlare del cast, tanto grande da valerne l'ebrezza da corsa, su strada
in discesa e senza freni: Ralph Fiennes, F. Murray Abraham, Adrian Brody,
Willem Dafoe, Jeff Goldblum, Jude Law, Bill Murray, Edward Norton, Tilda
Swinton, Owen Wilson… Conserverò a lungo memoria della conferenza stampa, per
il commento su Anderson di Ralph Fiennes, nel ruolo principale di Monsieur
Gustav: “Un maniaco della perfezione. Alcune scene le ho dovute girare quattro
cinque volte e tutte però andavano più che bene. Me l’ha fatto fare per scandagliare, con me, fino in fondo il testo della sceneggiatura, la letteratura del
copione.”
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