Nel 1987
Maurice di James Ivory vinse il Leone d'Argento alla Mostra del Cinema di Venezia, battuto da
Au Revoir Les Enfants di Louis Malle. Tratto da una novella del 1917 di E.M. Forster (1879 - 1970), pubblicata un anno dopo la morte dell'autore (1971), il film è stato identificato come storia gay nell'Inghilterra dei primi del Novecento, quando l'omosessualità era punita con la prigione e l'interdizione perenne dalla vita pubblica della nazione. C'è tuttavia ben altro, che andrebbe rispolverato e sta in un importante particolare identificativo della storia, adombrato dalla trama ovvero il fenomeno "Maurice" con tutta la sua carica rivoluzionaria. Il titolo è proprio emblematico perché come
Ulisse di James Joyce racchiude in sé tutto ciò che nella vicenda deve interessare: non la società con la sua ipocrisia, non gli altri personaggi positivi o negativi che siano, non i caratteri più o meno profondi, e nemmeno le loro pulsioni, ma lui
Maurice Hall (James Wilby) come eroe e fenomeno sociale. La trama è piuttosto lineare: due giovani universitari di Cambridge s'innamorano,
Maurice appunto di
Clive Durham (Hugh Grant) per il quale per anni rinuncia all'amore carnale, in nome del solo sentimento idilliaco (platonico) per convenzione (e paura) di
Clive. Quando questi
si allontanerà per sposarsi, mettendo a tacere voci e dissipando equivoci, piuttosto che nella tragedia della fine di un amore, ci si può finalmente concentrare sul grossolano, ma diretto intuito di
Maurice, combattuto tra anima e corpo, onore o disonore, fino a che, non il medico ipnotista, ma un bel giardiniere al servizio di casa
Durham gli darà in tutta veemenza quel che lui ha sempre cercato: sesso e amore. Forster scrisse in tempo il suo racconto, ma gli fu pubblicato postumo quasi come romanzo storico. Che peccato! Il suo eroe sarebbe stato un'utile bomba letteraria nella società britannica dei primi del Novecento, per affermare in perfetto timing quel che oggi lapalissianamente constatiamo: la fine dell'aristocrazia in Inghilterra soppiantata dalla classe considerata rude e serva, appunto, che invece colse il vento di poppa dell'emancipazione sociale. Come quando, nel medesimo frangente storico, la bellezza statuaria classica e efebica, sinonimo di un certo milieu, venne soppiantata dai più conturbanti e erotici preraffaelliti (1848). Che, attenzione, usavano il medesimo linguaggio classico per sovrapporvi valenze carnali e "peccaminose" divine. E come loro
Maurice non è efebico e basta, ma insieme accattivante e mascolino, scatenato e eccessivo, pugile appassionato e cocciuto franginorme. Per questo
Clive, come un Antino alla deriva, finirà con l'incatenarsi alle sue stesse - fin troppo - pacificatore scelte, mentre
Maurice scardinerà anche le norme del lignaggio, per vivere finalmente felice se stesso come eroe svestitosi di un'epoca per la nuova.
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