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68. Berlinale Intervista a Isabel Coixet (da RS - Ricerche Storiche)

Foto: Berlinale
C’è una sezione della Berlinale che al suo direttore Dieter Kosslick sta più a cuore. Non è quella del Concorso e nemmeno il Panorama. Si tratta del Berlinale Special - Gala. Contenitore di tutti quei film che se in concorso vincerebbero, dando per scontata un’edizione, ma di sicuro successo, che il Festival si onora di lanciare. Nello Special della 68° Berlinale (15 - 25 febbraio scorsi) ha debuttato The Bookshop (“La libreria”) della regista spagnola Isabel Coixet, spesso nel concorso del Festival (2003; 2008;) e membro della sua giuria nel 2009. Il film è tratto dall’omonima novella di Penelope Fitzgerald, rimaneggiata per la sceneggiatura dalla Coixet stessa valsale anche un premio speciale all’ultimo Salone del Libro di Francoforte.

Isabelle Coixet ha concesso a RS un’intervista - non solo perché accreditato al Festival - quale testata storica e autoriale, alla cui base stanno amore per i libri e la lettura. Fine degli anni Cinquanta, la giovane Florence Green (Emily Mortimer) per dimenticare il dolore della perdita prematura del marito, acquista un immobile nel centro di un dormiente borgo sulla costa inglese per farne una libreria. Conteso dalla ricca e annoiata Mrs. Gamart (Patricia Clarkson) che di quel negozio farebbe un centro d’arte. Quando l’ostinata acquirente, tra velate minacce, aprirà comunque la sua libreria usando - consapevole - la discussa uscita di Lolita di Nabokov come traino per un successo di clientela, la ricca Mrs. Gamart stucchevole le dichiarerà guerra usando la burocrazia con l’accusa di aver approfittato di un’opera “pornografica” in un borgo di tradizione britannica nei costumi.

Foto: Contracorriente Film 
Signora Coixet come mai la scelta di questa novella della Fitzgerald per una sceneggiatura?
Sono amica degli eredi di Penelope Fitzgerald e considero questo film un tributo a un’autrice diventata famosa dopo i sessant’anni, perché più giovane tra le gravi vicissitudini familiari, non poté dedicarsi al suo sogno di scrittrice.
Cosa si prova a rimaneggiare l’opera di un’autrice famosa per il cinema?
All’inizio ero a disagio, proprio perché conosco la famiglia di Penelope e non volevo che sembrasse un’aggressione. Ho cercato di rispettare lo stile dell’autrice, ma già che c’ero volevo che emergesse anche una sceneggiatura impeccabile.
Le è valsa un premio importante al Salone del libro di Francoforte…
Quello dimostra che ho fatto un buon lavoro letterario, ma io sono una regista quindi lo script dal romanzo va visto in funzione recitativa. Spero nel consenso di pubblico.
Che cosa le hanno detto a riguardo Emily Mortimer e Patricia Clarkson dopo avere letto la sceneggiatura?
Temevo la loro reazione, perché non volevo che vi scorgessero qualunque banalizzazione dell’originale della Fitzgerald. Patricia si è divertita, nel ruolo della “perfida” mentre Emily era entusiasta, ha onorato lo script anzi durante le riprese dopo ogni scena aveva il dubbio di aver dato poco.
Può spiegarsi meglio?
La figura di Florence interpretata dalla Mortimer è sfaccettata. Da un lato è ostinata, temeraria e decisa. Da un altro lato è fragile, non solo perché ha perso il marito, ma perché ha il cuore gentile di un’appassionata lettrice, che vive le storie nelle sue letture, che crede nell’importanza di una libreria per i suoi concittadini. Capirà bene che sono due registri difficili da gestire: forte e caparbia da un lato, dolce e docile dall’altra.
È contenta del risultato?
Non potrei esserlo di più. La mia è un’opera dedicata alle donne, scritta da una donna incredibile, con due attrici che sul set ho adorato per la professionalità e la passione mostrate.
La Coixet autrice e la Coixet regista: come convivono queste due anime?
Io sono e resto una: scrivo vedendo e vedo in modo letterario. Il cinema è la sintesi di diverse unità artistiche in sinergia. Senza la fotografia, di Jean Claude Larrieu, per esempio, ogni mio film non prenderebbe vita, restando una visione carica di evocazioni letterarie chiusa in me. Per questo senza Jean Claude io non farei film. Lui è il mio occhio interiore, che sa cogliere.
Come mai le giovani generazioni leggono sempre meno?
Questo è il risultato dell’assenza di concentrazione, causata dai cellulari, dai social network e da una drammatica pigrizia nel costruirsi immagini leggendo, visto che tutto è immagine ormai.
Lo dice lei che è regista…
C’è una differenza tra ciò che il cinema ricostruisce in immagini, come arte ben caratterizzata, anche dalla letteratura, e ciò che è l’apparire. Quest’ultimo, è un male sociale, perché non scende in profondità, resta alla superficie delle cose. Il cinema d’autore invece scava nel profondo.
Ci sta dicendo “andate al cinema almeno se non riuscite a leggere”?
No! Consiglio invece di seguire entrambe le discipline, che si diversificano e contano l’una sull’altra. Consiglio in generale di dedicarsi all’arte, di dedicare una parte del giorno alla lettura, al teatro, al cinema, alla musica. Di viverle come nutrimento.
Pensa che ci sia troppo Mainstream?
Sì se lo intende come spazzatura sociale. Per il cinema, invece, intrattiene le masse e convive con il cinema più di nicchia, quello che appunto definiamo d’autore. L’uno porta i capitali per fare anche l’altro, c’è un equilibrio che io non turberei.
Lei è spagnola anche se vive tanto in Canada. Che cosa pensa di tutte le divisioni che ci stanno coinvolgendo in Europa?

Sono molto preoccupata, penso alla Catalogna verso la Spagna che vale tanto quanto l’Inghilterra uscita dalla Comunità Europea. Spero che alla fine prevalgano buonsenso e unità, perché l’Europa anche nelle divisioni mostra un’anima forte, grazie alla cultura e alla Storia che ci legano.  

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