Intervista a Roberto Benigni per "Pinocchio" di Matteo Garrone - Berlinale 2020 da RS Ricerche Storiche (Versione autorizzata per il Blog)
In Italia Pinocchio di Matteo Garrone (Gomorra; Il Racconto dei Racconti) è uscito poco prima di natale 2019, mentre nel mondo in febbraio scorso alla Settantesima Berlinale (20 febbraio-primo marzo 2020) con la prima internazionale nella sezione Berlinale Special Gala. Un’opera con due pregi. Pregio numero uno: delle esistenti sessanta versioni di Pinocchio (nel 2021 la sessantunesima per Netflix con la regia di Guillermo del Toro) prodotte per il piccolo e soprattutto per il grande schermo, per il mercato internazionale o per solo uso domestico, questa di Matteo Garrone è probabilmente la più fedele al racconto scritto da Carlo Collodi (1883); ma cosa più straordinaria ai disegni - della prima edizione illustrata per i tipi dell’editrice Felice Paggi di Firenze – fatti da Enrico Mazzanti. Disegni così pregiati che la sua stessa mano fu richiesta per le traduzioni in inglese (1898), spagnolo (1901) e francese (1902), fino agli Stati Uniti d’America.
Tutti conoscono le avventure del burattino più disobbediente, ma già solo per questa fedeltà, chi avesse perso il Pinocchio di Garrone, lo recuperi, perché l’inusitata genuinità senza tempo rispolverata da Garrone merita la visione.
Pregio numero due: il Pinocchio di Garrone vanta Roberto Benigni nel ruolo di Geppetto, il mastro falegname creatore del burattino. Ventidue anni fa ha vinto l’Oscar per La vita è bella e lui stesso è stato già pinocchio in un proprio film (2002). Lo abbiamo intervistato e si è presentato con un bel maglione di lana rosso, ha parlato con tutto il corpo (mani e piedi inclusi) da personaggio e grande attore con una cultura smisurata, che trasuda da movimenti, gesti, parole…
Che cosa le è piaciuto della sceneggiatura di Garrone?
Tutta la sceneggiatura. Io scelgo i film partendo da quella, non mi interessa altro prima di averla letta. Per me Matteo Garrone è uno dei più grandi narratori al mondo, con una capacità di regia unica. Sa come vengono fatti i film, mi creda una rarità.
Rarità, come dice, nel panorama italiano o internazionale?
Più internazionale, a salvarli è lo star system, in Italia invece c’è più lavoro di artigianato e abbiamo registi dei quali possiamo solo vantarci. Questa Berlinale ne è un chiaro esempio.
Lei è anche regista oltre che attore. Quanto c’è del Benigni regista nel ruolo di Geppetto?
Non sono funzioni che sovrapponi tanto facilmente, quando non sei regista del film. Mi sono completamente affidato alla volontà di Garrone, alle sue esigenze, mi sono fatto plasmare.
Un Geppetto che parla toscano, dove si era mai sentito?
Garrone mi ha chiesto di recitare nel ruolo e quando lo ha fatto un mio sogno è diventato realtà. Da Pinocchio a Geppetto, mi manca di fare Fata Turchina e li ho fatti tutti…
Com’è girare un film con effetti speciali?
Non saprei, Pinocchio ne ha pochissimi. Gli effetti al computer sono stati veramente limitati, per un uso maggiore di protesi. Per gli attori significa trascorrere intere giornate mascherati sul set, con i truccatori sempre pronti a riattaccare i pezzi. Sa, si suda su set.
È stato difficile per lei?
Il mondo creato da Garrone ha reso il mio gioco molto semplice, anche per Federico Ielapi nel ruolo del burattino. Ha un modo molto cordiale di avvicinarsi agli attori, di spiegare come immagina le scene e ti chiede anche consigli. Li chiedeva anche a Federico: solo un bambino può avere la prospettiva di Pinocchio e chi meglio di un bambino può spiegartela.
Si ricorda quando ha letto Le avventure di Pinocchio di Collodi?
Non ricordo la prima lettura, io sono sempre stato un Pinocchio, così mi chiamavano da bambino: ero monello, impetuoso e mi inventavo storie di continuo. Ero ancora più creativo di quel che sono oggi.
Che cosa ricorda di più della sua infanzia?
La più grande felicità della mia infanzia è stata la nostra povertà. L’ho anche detto alla notte degli Oscar, ma nessuno mi ha preso sul serio. Ha stimolato la mia immaginazione, io stesso – con pochi giocattoli – immaginavo me stesso nelle avventure più strane, ci riempivo le ore. Ho vissuto l’infanzia più grande che fosse possibile e per questo sono grato ai miei genitori.
E adesso con quelle immaginazione riempie le sale…
Avere immaginazione è forse la qualità più importante che puoi sviluppare da bambino. Ti farà passare sicuro attraverso tutte le fasi della vita.
Fellini sognava di fare un adattamento per il cinema di Pinocchio con Lei. Che cosa può dirci?
E come no? Era il suo sogno, ma non si è mai avverato. Aveva già i disegni con me raffigurato da Pinocchio e raccolto le singole scene; me ne parlava di continuo. Aveva sempre il libro con sé e lo citava a memoria. Ed eccomi qui tre decenni più tardi, nel ruolo di Geppetto, del suo creatore. È bello quando il cerchio si chiude.
Era da tanto che non la vedevamo al cinema, come mai?
Sì ha ragione. Ho dedicato più tempo a fare teatro e serie per la televisione. Ho fatto un tour internazionale, sono stato in Israele e fino in Giappone. Credo che il mio ultimo film sia stato quello di Woody Allen nel 2012 (To Rome with Love).
Non le sono mai arrivate altre proposte?
Per me è importante dire “no” quanto dire “sì”. Non mi va di lavorare per il puro bisogno di farlo. Avrei potuto dire più volte di sì, ma forse non avrei raggiunto i medesimi traguardi. Esisto ancora per tutte le sceneggiature che ho rifiutato, mi creda.
Oltre vent’anni fa vinceva l’Oscar con La vita è bella, che ricordi conserva?
È stato il momento nel quale mi sono sentito più amato. Ovunque andassi sentivo il calore della gente e la gratitudine per aver dato al cinema un nuovo punto di vista sull’Olocausto e aver parlato di antisemitismo.
Dove tiene la Statuetta?
Credo di averla messa in un cassetto, ma non so quale; non ho la classica vetrinetta con i trofei esposti, tutt’al più li uso come fermalibri o fermacarte.
Come mai?
Non sei ciò che esponi, ma quello che non esponi.
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