La locandina del film |
Coerente
al proprio schema la Berlinale anche in questa edizione non rinuncia nel
concorso al film indipendente di autocritica statunitense, che getta un occhio
con amara ironia e sulla famiglia americana e il suo mito. La famiglia che
vuole tanto esserlo, ma perfetta non lo sarà mai. In sequela ricordiamo i più
bei film sul tema passati dalla Berlinale in questi ultimi anni: „Fireflies In
The Garden“ (2008), „The Private Lives Of Pippa Lee“ (2009) e „My One and Only“
(2010). Quest‘anno tocca a „Jayne Mansfield`s Car“ di Billy Bob Thornton,
regista e attore nel suo film, che recita il ruolo di un veterano della seconda
guerra mondiale, rispedito a casa per aver riportato gravi ferite nel
conflitto. Qui da dove lui viene - Alabama - tutti vogliono una guerra a parte
suo fratello (Kevin Bacon) anche lui ex combattente ora un gruppo di Hippie
comunisti che entra e esce di prigione: è il 1969. Che onta per il padre
(Robert Duvall) anche lui veterano del primo conflitto mondiale e repubblicano
nel sangue. Alle dolenti note se ne aggiungono altre: la moglie che lo aveva
lasciato per andare con un altro a Londra è morta di cancro e l‘intera famiglia
dell‘altro vedovo (con figlio e figlia) porta la salma in Alabama al luogo di
nascita per le esequie. Tra scontri e incontri venati di sarcasmo
antibritannico e anti yankees i rapporti si dipaneranno, nuovi amori
sbocceranno, mentre i nipoti - la nuova generazione - di fronte alle solite
noiose e accalorate discussioni, che non scemano (anzi!) con l‘arrivo di ospiti
inglesi, piuttosto prendono la via per il Vietnam. Questo film, bisogna
ammetterlo, è un piccolo capolavoro perché non omette di evidenziare - facendo
ridere - quali sono gli sforzi che una famiglia deve costantemente affrontare
pur di rimanere unita, pur di credere ancora al suo stesso sogno mentre tutti
ossessionati si trasformano in schegge impazzite e in espulsione. La seconda
opera di rilievo, fuori concorso, è il film di un maestro del cinema cinese
Zhang Yimou dal titolo „The Flowers Of War“ tratto da una storia vera e
struggente. E‘ il 1937 quando le truppe giapponesi irrompono nella capitale
Nanging mettendo a ferro e fuoco la città e usccidendo senza pietà migliai di
civili. Qui un unico posto è il più sicuro: la cattedrale cattolica con un
refettorio e una scuola per le ragazzine delle famiglie in vista della città.
Il prete è morto, così ne giunge un altro - suo malgrado - un vagabondo
ubriacone americano (Christian Bale) che per tenere a bada la furia dei soldati
giapponesi in cetta di belle ragazzine per spassarsela escogita di indossare la
tunica da sacerdote, sperando in quel ruolo di intoccabile ministro di un culto
di trovare una via di fuga. A irrompere nel refettorio - per la gioia del nuovo
parroco - sarà anche un gruppo di prostitute, in pericolo tra i militari e
soprattutto terrbilmente affamate, che si nasconde in una stanza segreta sotto
il tavolo della cucina. Il comando giapponese dopo un breve periodo di finta
tolleranza, dà un ultimatum al sacerdote: il coro delle educande si dovrà
presentare per cantare davanti agli alti ufficiali dell‘esercito che ha
conquistato Nangin. E‘ chiaro a tutti cosa attende le ragazzine, salvate in
estremis dalle prostitute che si sostituiranno alle piccole indifese.
L‘estetica del film è al massimo grado e mano a mano che il tono diventa più
tragico, il colore prende il sopravvento: al grigio delle rovine si
sovrappongono le tonalità calde e pregne dei rossi e delle lacche cinesi. O il
rosone della cattedrale, un immenso arcobaleno attraverso cui trapela la luce
triste di Nangin rasa al suolo. Zahng Yimou ha dichiarato: „Non ho fatto un
film contro il Giappone, ma sul valore dell‘amiczia e delle donne in momenti
terribili“. Ma difficilmente il Giappone manderà giù il boccone amaro, perché
il film rivanga - senza alcun filtro - una pagina della storia che non fa certo
onore ai giapponesi, ovvero quello che è passato con il nome di „Stupro di
Nangin“, nel quale morirono migliai e migliaia di civili sotto la furia
arbitraria dell‘esercito imperiale giapponese sguinzagliato a piede libero tra
le strade di quella che fu una grande capitale. Le dimensioni del massacro sono
ancora oggetto di discussione tra Cina e Giappone e a giudicare dai fischi di
alcuni giornalisti giapponesi in sala, ieri dopo la proiezione del film, la
Berlinale del politicamente corretto ha riaperto una brutta ferita.
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