Siamo
alla fine che ci riporta agli inizi, perché "Skyfall-007" di Sam
Mendes, con i costanti rimandi ai precedenti episodi dell‘agente temerario al
servizio di sua Maestà, insiste più che mai nel senso della tradizione. Tanto
cara agli inglesi, come a chi veramente in questo eroe vede un suo simbolo.
Però James Bond in Skyfall (Daniel Craig) per quanto tradizionale, non
dimentica l’epoca cui è giunto il suo narcisismo e al diavolo gli indugi,
scopre il suo lato "B": di affascinante seduttore, a quanto pare, per
sua stessa ammissione, non solo di donne… Mentre il perfido di turno (Javier
Bardem), laido ma di un fascino tutto suo, lo accarezza tra le gambe: „C‘è
sempre una prima volta, Bond”… lui controbatte sovrano „e chi te lo garantisce,
che sarebbe la mia prima volta.“. L‘agente Daniel Craig strizza l‘occhio alla
comunità gay, con un debole nei suoi confronti, più che verso gli altri
interpreti, da Sean Connery, a Pierce Brosnan, passando per Roger Moore fino a
Timothy Dalton. Sono i tempi moderni o si voleva un eroe più completo? Che
lungi dal voler diventare obsoleto, dopo una lunga e dura carriera di lotta
contro orribili, decadenti, frustrati, megalomani criminali si scontra col tipo
mancante, dunque il gay psicopatico. Come la si pensi è irrilevante a giochi
fatti, sia il pubblico a metterci una pietra sopra o meno, se la saga però
finisse con Skyfall, questo Bond il cerchio lo avrebbe chiuso, riportandoci al
punto di partenza, addirittura ai primordi che tutti ricordiamo e che ci
mancavano, quando Eve Moneypenny gli sveniva davanti, mentre lui entrando in
ufficio lanciava il cappello sempre a bersaglio sull’attaccapanni oppure quando
l‘agente „M“ ansiogeno, gli stava col fiato sul collo, affidandogli documenti
segreti („Never Say Never Again"), lingotti esca („Goldfinger“) o Bentley
britanniche D.O.C. che facevano lezione alla Supercar tutta stelle e strisce di
Hasselhof, che anfibia non è mai stata come quella di Bond in „For Your Eyes
Only“ (1981). A questo Bond, non interessa il dialogo interdisciplinare, il
meccanismo dei rimandi ricorda al pubblico in sala, che quel film non narra
solo l'ennesima avventura, ma guarda al passato per festeggiare con il suo
pubblico i cinquant'anni.
Fred Uhlman (1901 - 1985) scrisse a proposito del suo capolavoro letterario “Der Wiedergefundene Freund” (“L’Amico Ritrovato”): “si può vivere di un solo libro” e se ciò è vero, la stessa cosa si può sostenere per l’omonimo film diretto da Jerry Schatzberg (1989), che di libri sempre di Uhlman ne riassume altri due - “Un’anima non vile" e “Niente resurrezioni per favore” raccolti ne “La trilogia del ritorno” (Editrice Guanda pagg. 224, 14 euro - 2006) - ma che di film altrettanto belli non ne ha più girati. Il DVD è introvabile, l’ho ordinato mesi or sono presso due negozi italiani, ma non sono riusciti a reperirlo. Anche qui in Germania, stranamente considerato che il film è stato prodotto proprio in questo paese e con capitali berlinesi. Poi ho ritrovato in un mio vecchio scatolone il vhs del film, registrato dalla televisione nel 1991. Un film che ho amato come il libro, perché questa storia bussò al mio cuore al momento giusto, quasi per una coincidenza, quand
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