Malta EFA - European Film Award 2012 Fabio Dolci and Salvo Trapani at the Gala |
European what?“ ha esordito maliziosa Anke Engelke, attrice comica tedesca e presentatrice a Malta del gala dell’European Film Awards giunto il due dicembre scorso al quarto di secolo.
Venticinque anni di Academy e la nota critica a
Hollywood si fa sempre più sarcastica in tema di rapporti tra cinema. Qui sul
filo del rasoio è anche la questione interna, della crisi economica che rende
le cose molto più difficili; quando la crisi arriva, il cinema europeo si
ricorda di non essere un’industria, come Hollywood, e trema perché se non è
tale, né fondi né capitali gli spettano come alle vere colonne portanti
dell’economia. Il cinema EU è stivato alla voce “cultura”, per antonomasia tra
le prime in tempo di crisi a ricevere le batoste dei tagli. In USA invece anche
se la crisi fa da padrona il giro di miliardi e d’interessi è consolidato,
anche ai più alti vertici governativi rendendo le cose differenti: qui i
rapporti cinema politica sono diretti e i grandi della politica chiedono aiuto
a quelli di Hollywood. Romney a Clint Eastwood e Obama a George Clooney lo
hanno fatto nell’ultima campagna elettorale, nulla che i predecessori al loro
posto avevano omesso. Sul fronte europeo cambiano le proporzioni ma anche il
modo di concepirle. Vedreste accanto a François Hollande Gary Oldman o a
Bersani la britannica Helen Mirren? Cui tra l’altro a Malta è stato conferito
il premio alla carriera come migliore attrice europea nel mondo. C’è il
presidente d’Europa? Una tale sproporzione ci dice che il cinema è solo di nome
europeo, ma non di fatto. Anche Wim Wenders presidente dell’European Film
Academy, in apertura di gala, l’ha sottolineato con rammarico. La politica
chiede più Europa e meno sovranità nazionali e l’Academy spera lo stesso per il
nostro cinema, che per ciò è schiacciato dal made in states con una
distribuzione planetaria capillare. Chi del pubblico europeo, di tutta Europa
intendo, ha visto The Hunt di Thomas Vinterberg? Questo film ha ricevuto il
premio per la sceneggiatura 2012. Oppure, chi ha visto il commovente “Arrugas”
di Ignacio Ferraras? Che è il vincitore dell’Efa come miglior film d’animazione
di quest’anno. La sequela degli altri premi è avvincente, ma anche avvilente:
grandi opere, che sono nate in paesi di questo continente e che non usciranno
in tutte le sue sale e nemmeno in buona parte di esse, perché restano relegate
nel confine minimo di una nazione, salvo poi essere premiate in pompa magna da
un’Academy che lo scorso due dicembre se l’è suonata e cantata. Il cinema
europeo festeggia 25 anni e si trova di fronte a montagne tanto difficili da
valicare, in una crisi di identità continentale che tarda a maturare, limitata
anche da imbarazzanti questioni sull’esistenza stessa dell’Europa Unita, che
l’European Film Academy vorrebbe rappresentare, intenerendo nei suoi sforzi di
messa a fuoco. Il regista Costa-Gavras ("Amen") ha detto a Malta:
“Dobbiamo restare Europa Unita altrimenti torniamo a spararci in testa”. Se ci
accorgessimo dell’Europa come un grande bene comune, festeggeremmo tutti con
L'Academy i suoi 25 anni in eurovisione, come fanno gli americani col fiato
sospeso per la notte degli Oscar. L’Europa si è riprodotta in film che hanno
cambiato il corso della settima arte. Senza perdere mai - proprio perché
l'Europa ha più culture che paesi - il valore critico e d'impegno umano. Fateci
caso e vi stupirete: l'Efa è riuscita in venticinque anni a fare ciò che
l'Oscar in ottantatre (1929) non ha nemmeno provato: politica a volto scoperto.
E non è un caso che i registi più critici di Hollywood per prendere una boccata
d'aria, non viziata da lobbie e clan, presentino i loro film ai festival
europei. Michael Moore, Quentin Tarantino, Robert Redford, Martin Scorsese sono
alcuni dei più noti. Mentre dall'Europa agli States - a meno che non si tratti
di cinema indipendente grato a Sundance - i risultati non sono dei migliori. E
Wim Wenders ne ha tutta l'esperienza per questo dopo Land of Plenty (2004) e
Don't Come Knocking (2005) è ritornato definitivamente in Europa più che
piccato a ritirare i suoi premi. Pronto a trasformare l'European Film Academy
in un baluardo politico. Basti ricordare l'edizione del 2010 a Tallin (Estonia)
nella quale, a ridosso della seconda crisi finanziaria tra Stati Uniti ed
Europa, l'Academy tutta compatta dietro al suo presidente Wenders lanciò la
sfida, premiando il ricercato in USA (per stupro) Roman Polanski con tutte le
statuette possibili in una sola edizione, dal regista al suo film, passando per
il montaggio, gli attori e perfino il set dello scialbo The Ghostwriter (2009).
Azione ripetuta (e narrata su queste colonne un anno fa) nell’edizione 2011,
quando l’asso pigliatutto fu Melancholia, di Lars von Trier sbattuto fuori dal
festival di Cannes come "persona non grata" dopo le sue affermazioni
cripto naziste alla conferenza stampa del film. Se ce ne fosse stato ancora
bisogno di quella riprova, l'Academy di Wenders riconfermava il suo
atteggiamento di sentinella internazionale critica nei confronti del
politicamente corretto e delle genuflessioni di convenienza. Per riscoprire
l’Europa basterebbe che gli europei partissero dal suo cinema, per crederci poi
ancora meno se tutt’Europa a Malta si è alzata commossa nell’ovazione al
vecchio e invalido Bernardo Bertolucci fiero europeo del suo Award alla carriera.
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