FOTO: Kennedy Miller Productions/Warner Bros. |
Crederci o meno non è scopo del film, quanto del pubblico, visto che fine di un film è farcelo credere. Nel linguaggio cinematografico, per chi i movie li fa e non li guarda e basta, c`è un'unica espressione valida: beauty that suspends the audience's disbelief (trad.: "bellezza che sospende l'incredulità del pubblico") e Mad Max - Fury Road ci riesce. Non c'è riuscito attraverso gli effetti speciali, per chi li cercasse ad attenderlo nelle sale c'é l'ennesimo polpettone americanata San Andreas, che siamo certissimi avrà quel che si merita: il suo pubblico (!). Fury Road c'è riuscito facendo galoppare e sudare tutti...
Da alcuni anni l'incredulità del pubblico viene drogata con i computer, ci siamo talmente abituati che alla fine, dopo aver visto un film inzuppato di finzione ne siamo pure contenti, perché ci hanno rieducati e l'algoritmo ha fatto e rifatto il sogno. Senza offesa e lunga vita alla categoria degli specialisti agli effetti, ci chiedevamo era questo incubo il destino del cinema? Il regista George Miller tra il 1979 e il 1985 scrisse e diresse tre film cult dedicati a un pazzoide semi-schizofrenico in un mondo post atomico di sopravvissuti ridotti a primate analogici, Max Rockatansky allora interpretato da Mel Gibson, Mad Max (1979) appunto, Mad Max 2 (1981) e Mad Max - Beyond Thunderdome (1985). I Mad Max non solo portarono l'Australia sotto gli occhi del mondo aprendo un nuovo trend d'interesse, oltre che un nuovo destino per il suo cinema, visto che da James Cook agli anni Ottanta del Novecento, a parte i geografi, appunto, solo un'élite prendeva l'Oceania in considerazione; i film mettevano anche il dito nella piaga fungendo da deterrente politico per i signori della Guerra Fredda. Una buona parte di quel successo è certamente dovuta alla base politica contenuta nella saga, un'altra invece appartiene tutta al cinema e al suo balzo in avanti verso orizzonti sempre analogici che mettevano in buona sostanza sotto gli occhi del pubblico - per fortuna mai sazio - una specie fino ad ora altrettanto sott'intesa: gli stunt-men. Doppioni analogici, atletici e a rischio di paralisi permanente delle grandi star. Andare al cinema e vedere sempre di George Miller il suo ultimo Mad Max - Fury Road (2015) riporta il pubblico con violenza "primordiale" (che bella parola!) non solo alla saga, ma alla base del cinema e al suo sogno costruito anche per sforzi e non per incantesimi, regalando a quel medesimo pubblico la gioia dell'incredulità, perché per quelle due ore sei in strada con i tuoi eroi - Mad Max è Tom Hardy e Charlize Theron l'Imperatrice Furiosa - mangiando polvere palpabile del deserto australiano, rivivendo il principio della norma, così come John Wayne (1907 - 1979) e i suoi western ci offrivano. Non è il vintage, ovvero il nuovo vestito di vecchio, ma la old school del mestiere, che per smacco lascia il pubblico in religioso silenzio, perché finalmente ricondotto al grande cinema.
George Miller, rifacci sognare... e Mad Max the Wasteland è stato appena annunciato.
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