Foto: Universal Pictures |
Il segreto del cinema non può
essere svelato, ma per i fratelli Joel e Ethan Coen, che ieri hanno aperto la
Berlinale col film Ave Cesare (2015),
quello che sta dietro a Hollywood a ben vedere sì: filisteismo, politica e
soldi. Che fin dai tempi di Roma (!) - agli albori della civiltà - hanno
impegnato l’umanità per arrivare a noi senza risparmiare nemmeno la settima
arte. Il metacinema (il cinema che parla di sé) non è roba semplice da gestire.
La Nouvelle Vogue ne fece ampio uso: l'intenzione
era di mostrare come si giravano i film in passato per irretire alla fede del
cinema. Ciò permise la diffusione di opere in cui proprio il cinema si fece
tema primario della narrazione, cosicché il film non solo divenne espressione
di un punto di vista sul mezzo, ma anche veicolo di una poetica. È la strada
battuta dai registi come Claude Chabrol, Jean-Luc Godard, François Truffaut,
Jacques Rivette, Eric Rohmer etc. che provenendo dalla critica cinematografica stessa,
usarono la macchina da presa anche per trasfondere nelle loro opere l'idea che
si erano fatti del cinema e per parlarne. Per i Coen, però, a Hollywood né
poetica, né idea o fede giocano alcun ruolo, se in Ave Cesare è tutto il sistema del cinema a essere ridicolizzato.
Siamo agli inizi degli anni Cinquanta nei grandi Studios, grandi Star, entità
miserabili fuori dal set invero, sono impegnate in varie produzioni sotto la
guida del cattolicissimo e cinico impresario Eddie Mannix (Josh Brolin), giunto
al limite della sopportazione. Quando la star del suo colossal sulla
crocifissione di Gesù, il “centurione” Baird Whitlock (George Clooney), sarà
rapito da una banda di sceneggiatori comunisti perché sottopagati da Mannix,
per un riscatto di centomila dollari, questi dovrà serrare i ranghi e rieducare
tutti dal primo all’ultimo: dai tecnici, alle comparse, dagli attori, ai neo
comunisti fuori luogo, fino ai giornalisti che ronzano come api intorno al
miele della mecca del cinema. Qui c’è solo un valore a contare: il film che ha
da venire, e la star che dovrà fare incassare milioni di dollari. Né politica o
religione possono sperare di scavalcare gli spessi muri di cinta dei teatri di
posa. Così quando il “centurione” ritorna comunista evangelizzato dai rapitori,
sul filo di una sceneggiatura confessionale, recitando a testa alta di fronte
al “Cristo crocifisso” sul Golgota parole di speranza e uguaglianza ecco
l’amaro ritorno alla scena di un colossal di cartongesso: la star cade proprio
sull’ultimo sostantivo dell’ultima battuta, dimentico della parola chiave
nell’ultima scena, della sceneggiatura delle sceneggiature, “fede”. Che cosa
resta? Ben poco, anche all’attore che fa Gesù in croce, che frattanto si gratta
i piedi compulsivo, mentre il regista chiede di ripetere tutto da capo.
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