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Nessuno mi Troverà


da RS - Ricerche Storiche n° 122 Ottobre 2016 - Intervista al Regista del Film Egidio Eronico

di Salvatore Trapani


Il canone Majorana 


Torna la vicenda dello scienziato scomparso
nel nuovo film di Egidio Eronico

Nel 2003 la Berlinale inaugurò la sezione del Festival destinata a diventare una tra le più importanti: il Berlinale Special. Come primo film di quel debutto c’era My Father-Rua Alguem 5555 del regista italiano Egidio Eronico, sul mistero intorno al criminale SS dottor Mengele, ricercato per i suoi crimini ad Auschwitz e fuggito facendola franca – protetto da una potente organizzazione
internazionale – in Sud America, come tanti altri nazisti del suo calibro. Fu l’ultimo film di Charlton Heston, nel ruolo di Mengele, accompagnato da un cast d’eccezione, Murray Abraham (Amadeus) e Thomas Kretschmann
(Il Pianista). Appassionato alla storia e come tale meticoloso nel ricostruire gli eventi da narrare, Eronico ha diretto un altro film, stavolta documentario, Nessuno mi troverà (2015) sul mistero invece del fisico italiano Ettore Majorana, scomparso senza lasciare tracce nel 1938. Il film è stato presentato a Milano all’ultimo Festival internazionale del documentario Visioni dal Mondo
raccogliendo sia dal pubblico sia dalla critica unanime apprezzamento. Egidio Eronico è un regista di rara finezza per quella sua inestimabile ricchezza storica e letteraria, che definiremmo capillare. Un umanista cineasta in grado di scrivere sceneggiature avvincenti e coinvolgenti anche sul fronte emotivo. A Istoreco regalò una copia firmata di My Father-Rua Alguem 5555
rimarcando che la memoria non passa solo attraverso la testimonianza, ma anche attraverso l’arte, che, unita al documento, crea l’esperienza. Che con lui al cinema riesce a essere unica.

Signor Eronico, perché riesumare la storia di Ettore Majorana?
Ettore Majorana appartiene a quella generazione di uomini, nata agli inizi del XX secolo, che si è trovata ad affrontare in prima persona le grandi rivoluzioni scientifiche, tecnologiche e sociali dei primi cinquant’anni del secolo scorso, che hanno dato luogo a quella che il filosofo e matematico austriaco Edmund Husserl (padre della fenomenologia) ha definito la crisi radicale di
vita dell’umanità europea. Analogamente al problematico comportamento di una misteriosa particella mancante chiamata neutrino – che egli stesso riuscì a predire nel 1937, in termini che solo ora si è in grado di sottoporre a verifica sperimentale – Majorana ha attraversato in un tempo estremamente ridotto l’intero secolo breve in tutte le sue ambizioni e le sue fragilità, pronto a pagare col suo spirito libero e indipendente un prezzo molto alto per difendere la propria dignità di scienziato e di uomo.

Il suo film di successo My Father-Rua Alguem 5555 è un film storico ma di recitazione,
come mai la scelta del documentario?
A dire il vero, inizialmente, anche Nessuno mi troverà doveva essere un film di finzione. Era il 2011 quando,
insieme a Pierfrancesco Prosperi (che peraltro sta per pubblicare un romanzo ucronico su Ettore Majorana)
ho iniziato a scrivere la sceneggiatura per la PMI di Andrea Stucovitz.
Alle spalle avevo anni di ricerche, di documentazione, è stato durante questa costante fase di ricerca che mi sono imbattuto in alcune rivelazioni di grande importanza sulla figura di Majorana. Grazie all’approfondito e rigoroso lavoro
di ricerca di Francesco Guerra e Nadia Robotti, la coppia di studiosi che più di tutti ha scandagliato vita e opera di Majorana, ho capito cosa volevo fare. Si trattava di riscattare la figura del fisico siciliano da un chiacchiericcio per lo
più privo di fondamento, velleitario e a volte dai tratti demenziali che si ritrova in gran parte della pubblicistica sul “personaggio” da oltre cinquant’anni. Ha proprio guardato alla personalità… Volevo farla finita col “genio incompreso e problematico” per cercare l’individuo e la sua non sempre facile verità.

Per questo la via del documentario era la più adatta?
Dovevo scegliere più che altro una strada che mi consentisse un ampio margine di manovra quanto a libertà espressiva, con l’adozione di un veicolo narrativo che contemplasse insieme fiction, documentario, biografia e altro ancora. Ne nasceva un’ibridazione di generi e mezzi diversi, tra presenza simultanea di sequenze in animazione e documentario, alternate a immagini
di repertorio, immagini originali e un certo numero di fotografie più alcune estimonianze, per ricostruire gli ultimi movimenti di Ettore Majorana.

Sembra una vera e propria ricerca espressiva…
Volevo che ne nascesse un inconsueto soggetto narrativo in grado di far saltare non solo la barriera tra il documentario e la fiction, il reportage e la confidenza, ma anche tra l’immagine registrata e l’immagine costruita, determinando stile e approccio visivo del film. Non so dire quanto l’operazione sia riuscita. A ogni modo, in senso lato, credo si possa definire un documentario,
sebbene io preferisca parlare più di un “punto di vista documentato”.

Il mistero sulla scomparsa di Majorana è supportato da varie tesi, tante fantasiose, le espone nel suo film ma sembra non sposarne alcuna, come mai?
Ho voluto rispettare l’uomo e le sue scelte più intime. In più, non esiste alcuna prova a favore di una tesi anziché di un’altra. Senza esagerare, credo di aver letto tutto o quasi si è scritto a proposito di Majorana. Negli anni ho parlato e mi sono confrontato con parenti, eredi di amici, fisici, storici, giornalisti e ricercatori a vario titolo. Ho visitato innumerevoli archivi in Italia e
all’estero e mai ho potuto riscontrare un’indicazione, una traccia verosimile se non proprio oggettiva verso una determinata direzione, dalle più accettabili alle più fantasiose o deliranti. Ettore Majorana resta uno sconosciuto, qualcuno
di cui a ben vedere, almeno fino a quando è rimasto in circolazione si sapeva poco persino in famiglia. Buona parte della pubblicistica, torno a dire, lo restituisce con un ritratto a senso unico come persona dall’anima sofferta, perennemente insoddisfatta, completamente assorbita e persa nei suoi studi. Verità più che parziali.


E sul fisico scienziato?
Fatta eccezione, appunto, per la sua opera di scienziato, la cui grandezza è oggi fuori discussione. La verità (difficile da ammettere, lo riconosco) è che noi di quest’uomo, a quasi ottant’anni dalla sua scomparsa, sappiamo poco o niente, e immergersi nel suo “caso” vuol dire perdersi in un labirinto. Majorana (il “Grande inquisitore”, come veniva chiamato nell’ambiente dei
fisici di via Panisperna) fu, è vero, uomo e scienziato tormentato e complesso, ma anche dotato di umorismo ingegnoso e sottile (forse troppo per chi lo circondava). Il suo maggior problema, semmai, in quanto uomo di scienza e intellettuale, consisteva nella gestione di una tensione esistenziale in cui la fisica appare come un’isola serena ma inadeguata. Il resto è mistero, chiuso e impenetrabile. Simile in questo a molti dei personaggi del cinema di Orson Welles, tutti di matrice shakespeariana, e – singolare coincidenza – si sa che Majorana prediligeva Shakespeare e Pirandello.

Per questo nel film tra le letture di Majorana lei mette Luigi Pirandello…
Così è se vi pare anche con Majorana?
Generalmente si tende a far risalire natura caratteriale e comportamenti di Majorana a un pirandellismo di fondo. Personalmente trovo il parallelo troppofacile e riduttivo. Nella sequenza in animazione d’apertura, sul comodino
della camera presso l’Hotel Bologna di Napoli, dove Majorana alloggiava, ci sono quattro libri: Il mondo nuovo di Aldous Huxley, Die Welt als Wille und Vorstellung (Il mondo come volontà e rappresentazione) di Schopenhauer, i
Sonetti di Shakespeare e Novelle per un anno di Pirandello. Questo per dire che Majorana era uomo dai vasti interessi e dalle letture più disparate. La sua predilezione per Shakespeare e Pirandello si deve ad alcune testimonianze, in particolare a Edoardo Amaldi, uno dei cosiddetti ragazzi di via Panisperna e primo biografo di Majorana. Conosceva bene e seguiva l’opera del grande
scrittore e drammaturgo siciliano che apprezzava, ma non più di quanto non apprezzasse l’opera di un Dostoevskij o di un Ibsen. Nella primavera del 1930 aveva visto Come tu mi vuoi che gli era piaciuta molto come scriverà all’amico
e collega Giovanni Gentile jr. 

Riformulo la domanda: c’è Pirandello in Majorana?
Io credo che un uomo di scienza dalle ampie vedute come Majorana fosse naturalmente attratto dal relativismo esistenziale dei personaggi di Pirandello. Così come lo era Einstein che, vale la pena ricordarlo, nel 1925 a Berlino, dopo aver assistito in teatro alla rappresentazione di Sei personaggi in cerca d’autore, irrompe nel camerino e dice entusiasta a Pirandello: «Noi siamo
parenti». In questo senso, mi piace rinvenire nella personalità di Majorana affinità e punti di contatto con il Charles Foster Kane di Citizen Kane-Quarto Potere, il Grigory Arkadin di Confidential Report-Mr. Arkadin, il Mister Clay di Histoire Immortelle. E, perché no, anche con la figura altrettanto geniale e misteriosa di uno dei giganti della musica moderna: Maurice Ravel.

Siamo all’ermetismo…
Quel che mi preme sottolineare, è che al di là delle ipotesi – il suicidio in mare, la fuga in Argentina o in Venezuela degna di un Mattia Pascal, la bomba tedesca e il delitto di Stato, la crisi spirituale e il ritiro in convento – oltre ogni congettura resta l’inaccessibilità gentile di Ettore Majorana, la sua diversità isolana e aristocratica. Concordo con Joao Magueijo, il cosmologo e
fisico teorico portoghese autore di A Brilliant Darkness, un interessante libro su Majorana, quando dice: «Come quella del neutrino la storia di Ettore è altrettanto elusiva. Anche se scoprissimo con certezza ciò che egli fece, non
sapremmo mai perché lo fece, che è una cosa di gran lunga più importante».

A un certo punto del film lei parla dell’esistenza di un canone Majorana…
Ho ripreso e sposato le argomentazioni presenti in un ottimo saggio di Roberto Finzi, Ettore Majorana. Un’indagine storica (2002). Finzi sostiene in manieraintelligente che, come altre, la storia di Ettore Majorana è imbozzolata
in un canone, costruito sul suo finale indubbiamente anomalo e affidato alla penna di Laura Capon in Fermi (che sempre si firma Laura Fermi), Edoardo Amaldi ed Emilio Segrè, massimi custodi delle memorie del “gruppo Fermi”. Un dato peraltro già colto da Leonardo Sciascia negli anni Settanta nel “giallo filosofico” dedicato al giovane scienziato e alla sua scomparsa. Sciascia nota
infatti che «non uno di coloro che lo conobbero e gli furono vicini, e poi ne scrissero o ne parlarono, lo ricorda altrimenti che strano». Un’osservazione e un’angolazione molto importanti (fondamentali, io ritengo) per affrontare il caso Majorana.

Fascismo e nazismo determinano lo scorcio di secolo in cui Majorana visse, ma ben poco in Nessuno mi troverà, c’è alla base una scelta registica?
Majorana proveniva da un’importante famiglia della borghesia catanese. Una famiglia colta e di stampo liberale che annoverava al suo interno uomini politici, docenti universitari e professionisti di successo. Nato nel 1906, Ettore, nella sua precocità, si era rivelato presto tra i più originali della famiglia. Brillante, eclettico, individualista dal notevole acume critico, si teneva a debita
distanza dalla politica, il che non significa che non avesse idee e opinioni politiche precise. È possibile, come sostengono Leonardo Sciascia e lo storico Roberto Finzi, che Majorana avesse guardato con una certa speranza alle promesse del primo fascismo, sebbene non esistano testimonianze o prove documentali in merito. Tuttavia non si può sottovalutare la sua attitudine a sottoporre a un costante esame critico qualsiasi fenomeno sia esso fisico, chimico, storico, sociale o politico. Indipendenza e autonomia di giudizio – questo va ribadito – erano qualità connaturate in Majorana. Estraneo, da siciliano della miglior specie, a certo spirito di “cosca” (tipico dei siciliani peggiori, come ci fa argutamente notare Sciascia), non risulta, per esempio, che abbia preso parte all’attività dei guf, i Gruppi universitari fascisti, che al tempo avevano il dominio assoluto nella vita culturale dell’Università. Semplicemente si limitava a osservare con caustica ironia l’andazzo dell’Italia fascista e le mirabolanti
gesta del suo capo nella prospettiva di una più o meno sopportabile convivenza con il regime.

In Germania però ci andò…
Nel gennaio del 1933 aveva raggiunto Werner Heisenberg a Lipsia, un’esperienza fondamentale per la sua vita non solo di scienziato. Facile capire il perché. Il soggiorno tedesco di Majorana coincide, infatti, con la presa del potere in Germania da parte di Hitler e dei nazionalsocialisti. A undici giorni dal suo arrivo, il 30 gennaio Adolf Hitler è nominato cancelliere del Reich,
in cinquanta giorni annienta la Repubblica di Weimar e conquista il potere. Opposizione annullata con ferocia grazie a una serie di purghe, primi campi di concentramento e razzismo e antisemitismo introdotti nell’ideologia di Stato. Il 1° aprile, giornata nazionale di boicottaggio antiebraico, le camicie brune assaltano cittadini ebrei e non solo. Il 10 maggio, all’Università di Berlino
studenti nazisti danno alle fiamme ventimila libri di autori ebrei. A fare le spese della follia nazista è anche la fisica.




Che cosa successe esattamente nell’ambiente scientifico?
La Deutsche Physik attaccò Einstein, Sommerfeld e Planck. Heisenberg fu definito, per l’atteggiamento non ossequiante verso il regime, “l’Ossietzky della fisica”. Ettore Majorana osservò tutto questo con sguardo asettico e razionale, registrando
il fallimento totale dei regimi di destra sui quali parte dell’Europa si era illusa. Era fatale, dunque, che in agosto, al suo rientro in Italia dalla Germania, Majorana fosse turbato. Il presentimento che il peggio dovesse ancora arrivare deve essersi progressivamente fatto strada in lui fino a condizionarne le scelte come scienziato, dapprima, e come uomo. Nel film ho cercato di
riflettere tutto questo. 

Hitler avrebbe saputo più di Mussolini come approfittare di Majorana. Che ne pensa?  La sua presenza a Lipsia con la pubblicazione Sulla Teoria Nucleare del 1933 non può spiegarci tante cose?
È opinione ricorrente, soprattutto tra i cosiddetti “majoranalogi”, quella di ritenere che Majorana si sia dileguato nel 1938 per andare a lavorare con Heisenberg alla realizzazione della bomba tedesca. L’idea di un presunto filo nazismo del fisico siciliano (venato persino di antisemitismo, secondo la propaganda esercitata in questo senso da Emilio Segrè) serpeggia in alcuni ambienti
dai lontani anni Cinquanta e deriva dall’ammirazione manifestata da Majorana per l’efficienza dell’organizzazione scientifica e industriale propria della Germania negli anni Trenta, che evidentemente è altra cosa dal simpatizzare con l’ideologia nazista. D’altronde – come ricorda Lea Ritter Santini nella sua postfazione alla Scomparsa di Majorana di Leonardo Sciascia – «in
Europa l’intelligenza scientifica, fino alla fine degli anni Trenta e soprattutto in ambiente italiano, veniva identificata con l’idea della scienza tedesca».  Il confronto con il rigore e la disciplina della scienza tedesca, era quasi d’obbligo
per chi ambisse a misurarsi con le nuove frontiere della conoscenza quali la fisica quantistica e la psicoanalisi.

Restano tutte solo banali congetture?
Non si capisce perché un uomo come Majorana, che quanto a curiosità intellettuale e desiderio di conoscenza non era secondo a nessuno, non avrebbe dovuto subire attrazione da parte della scienza tedesca. Dopodiché resta logicamente insondabile il perché Majorana avrebbe dovuto collaborare con Heisenberg allo sviluppo di una bomba atomica tedesca (che peraltro lo stesso
Heisenberg non aveva intenzione o comunque non era in grado di realizzare). Per quale motivo lo stesso uomo che manteneva le distanze dal fascismo in patria avrebbe dovuto sposare la politica del Reich?

Qual era il rapporto tra Majorana e Heisenberg?
Tra i due c’era una reciproca stima dal punto di vista della ricerca scientifica, ovviamente, ma anche e soprattutto dal punto di vista umano, giacché il fisico tedesco si presentava contemporaneamente come un filosofo, un argomento non da poco per Majorana che alla filosofia dedicava parte considerevole del suo tempo. Entrambi, insomma, avevano l’esigenza di andare oltre la
fisica, un desiderio che certamente li accomunava. E il fatto che Majorana a Lipsia si era deciso a pubblicare in tedesco la sua “Teoria delle forze nucleari come forze di scambio”, correggendo la teoria del nucleo già sviluppata da Heisenberg (che già Fermi aveva invano tentato di fargli pubblicare un anno prima) non fa che confermare la grandezza del suo lavoro anticipatore, grandezza che certamente non poteva sfuggire a un fisico teorico della classe di Heisenberg.

Fermi e Majorana, fascismo e nazismo, scienziati indispensabili e atomica, Guerra Fredda: uno va negli Stati Uniti e l’altro scompare. Mi sembra una sequenza perfetta. Che cosa ne pensa?
Il 1938 è l’anno di svolta per la fisica italiana. Una svolta in negativo. Il 6 dicembre Enrico Fermi partecipa per l’ultima volta al Consiglio della Facoltà di Scienze in cui i matematici Federigo Enriques e Tullio Levi-Civita sono dichiarati decaduti in seguito alla promulgazione delle leggi razziali. La sera il fisico romano lascia l’Italia con la famiglia: è diretto a Stoccolma, da
dove, ricevuto il Nobel, si trasferirà definitivamente negli Stati Uniti. Edoardo Amaldi, che con Franco Rasetti si è recato alla Stazione Termini per salutarlo, capisce che il piccolo mondo sorto dall’istituto di fisica teorica di via Panisperna è sconvolto, «anzi quasi certamente distrutto – dirà più tardi – da forze e circostanze completamente estranee al nostro campo d’azione».

E tante ne succederanno a dimostrarlo, non crede?
Già da quello stesso giorno. Il ministro per l’Educazione nazionale Giuseppe Bottai decreta Ettore Majorana dimissionario dall’impiego di professore a partire dal 25 marzo 1938, per essersi «allontanato dall’ufficio senza giustificati motivi, per un periodo superiore a dieci giorni». Erano trascorsi circa otto mesi e mezzo dalla scomparsa del fisico catanese. Per l’Italia, la duplice e differente scomparsa dalla scena di Fermi e Majorana – il “Papa” e il “Grande inquisitore” della fisica italiana – è un colpo difficile da assorbire. Il primo, come si sa, si sarebbe poi fatto strada negli Stati Uniti fino alla morte, prematura,
nel 1954. Del secondo, invece, non si è saputo più nulla. Fermi è stato a lungo celebrato per il suo operato come uno dei più importanti fisici del mondo, ma, indipendentemente dal suo talento, è Majorana, a causa del suo misterioso ed enigmatico destino, a calamitare l’attenzione anche al di fuori della fisica e della sua storia.

Ce n’è per un colossal…
Non sono così tanti, in effetti, gli uomini di scienza capaci di ispirare in oltre settant’anni studi seri e incredibili teorie del complotto, romanzi e inchieste, documentari, pièces teatrali e persino fumetti. Tuttavia – a differenza di Majorana e per ovvi motivi – le vicende di Fermi sono emblematiche di un’epoca in cui gli scienziati sono chiamati a confrontarsi con interrogativi
di carattere etico e politico. Le sue scelte – mai obbligate – sono segnate da evidenti ambiguità se si considera che ogni scienziato dovrebbe rispondere a pochi ma rigorosi principi etici in grado di garantirne l’autonomia ed evitare che i risultati raggiunti dalla propria ricerca vengano liberamente utilizzati dal potere politico, militare o industriale. È un tema immenso, ma penso sia
chiaro cosa intendo dire.

Poc’anzi accennava a Leonardo Sciascia, che scrisse il romanzo La scomparsa di Majorana. Il socialismo sciasciano potrebbe indurci a credere in un socialismo latente in Majorana?
Nell’estate del 1984, in una lettera da Oxford a Donatello Dubini, il fisico tedesco Rudolf Peierls – riferendosi alla fine del 1932, e prima quindi che Ettore Majorana partisse per Lipsia – ha scritto: «Mi apparve come un
fisico straordinariamente dotato, un poco timido e veramente contrario al fascismo». Faccio questa premessa alla sua domanda nel tentativo di decifrare la posizione politica di Majorana in quegli anni. Io non credo che Sciascia intendesse nel suo libro dare continuità al suo socialismo antifascista con un’idea socialista di Majorana.

Lei che cosa pensa?
Credo che Sciascia nel suo “giallo filosofico” a un certo punto si sia rispecchiato, quasi immedesimato nella figura di Majorana che era, come lui, un siciliano in un qualche modo atipico, discreto, appartato, un genio nel senso meno abusato del termine, ma un genio che a un determinato momento rinuncia al suo destino di genio, appunto. È questa volontà, questa disobbedienza
ad attrarre lo scrittore. Poco importa lo schieramento politico, ideologico. Sciascia vede in Majorana un uomo libero, libero di scegliere, coraggioso proprio perché si rifiuta di fare ciò che tutti si aspettano da lui, e naturalmente respinge l’idea che le sue opinioni facciano parete di una “teoria”, preferendo considerarle «un misto di storia e di invenzione», perché sa che se la realtà
mente è la letteratura che può dire la verità.

La comunità degli scienziati e degli storici – lei ne ha intervistati un bel po’ – è unanime rispetto al profilo di Majorana?
Tralascio volentieri il giudizio espresso da scienziati e storici circa il profilo complessivo della figura di Ettore Majorana. Chiunque può verificare in prima persona attendibilità, analisi e riscontri dee varie linee di ricerca. Posso
soltanto dire che studi seri frutto di ricerche approfondite si possono contare sulla punta delle dita di una mano e questo a fronte di una marea di pubblicazioni. Io mi sono avvalso dei contributi per me fondamentali di Francesco Guerra (fisico teorico), Nadia Robotti (storica della fisica) e Roberto Finzi (storico). Ma sarebbe ingeneroso da parte mia dire che non ho tratto spunto
da alcuni saggi, interventi critici e finzioni letterarie.

E comunque, lei che idea si è fatto della figura di Ettore Majorana?
È essenziale, per quanto mi riguarda, accostarsi a Majorana scansando stereotipi e pregiudizi da romanzo d’appendice che nel tempo ne hanno caratterizzato il profilo umano. La mia idea è che fosse una persona che ha dovuto combattere con le sue doti non comuni. Il ritratto a senso unico che generalmente ne viene dato di uomo geniale ma tormentato, sovente depresso e malinconico è a mio avviso fuorviante.

Gossip?
C’è gente a cui piace esagerare il lato oscuro di Ettore. È pur vero che la sua infanzia (e quella dei suoi fratelli), sottoposta a una rigida educazione e al controllo di una madre iperprotettiva, deve essere stata tutt’altro che facile, e forse l’impulso verso la fuga è cresciuto insieme a lui. In ogni caso, non corrisponde al vero il “personaggio” Majorana che non ama pubblicare i risultati
dei suoi lavori, che non ha interesse per l’attività accademica, che si diverte a interpretare il ruolo del dandy apatico e svogliato nell’ambiente tutto virtù e sacrificio di via Panisperna. Tuttavia il sospetto e la diffidenza che lo circondavano
all’interno dell’Istituto possono averlo segnato e, nel tempo, logorato fino alla sua ultima impresa. Sembra piuttosto infastidito.
Confesso un certo fastidio nel rilevare che da più di settant’anni il “caso Majorana” ispiri per lo più fantasiose teorie del complotto, tanto da rischiare di porre in secondo piano un’opera scientifica di enorme valore. Ancora oggi, infatti, il “suo” neutrino è oggetto di esperimenti in tutto il mondo, e gli studi su di esso potrebbero modificare l’attuale modello della fisica delle particelle. Da questo punto di vista, per esempio, è di fondamentale importanza riuscire a verificare se il neutrino è una particella di Dirac o di Majorana.

Nel suo film c’è una melanconia poetica, forse più in funzione siciliana che per lo stesso Majorana?
Non saprei, esattamente. Nel senso che non so dire se nel film vi sia una melanconia poetica e per di più in funzione siciliana. Voglio dire che se c’è non è intenzionale. La Sicilia con le sue contraddizioni, a mio giudizio, potrebbe forse essere d’aiuto nella comprensione della personalità di Majorana ma solo in un’ottica sciasciana. Per Sciascia – lo ripetiamo – i siciliani migliori
sono sempre quelli portati a non fare gruppo, e Majorana era fra questi.

Può la Sicilia con le sue contraddizioni spiegarci il personaggio?
Ricordo un libro di Stefano Malatesta, Il cane che andava per mare e altri eccentrici siciliani, dove si dice che gli italiani nel corso dei secoli sono stati definiti con un impressionante elenco di luoghi comuni: geniali, trasformisti, menefreghisti, artisti, brava gente, formidabili amatori, traditori, refrattari alle regole ecc. Nessuno, in compenso, ha mai pensato di definirli eccentrici,
con la sola eccezione dei siciliani: in un paese che si ciba quotidianamente di realismo mediocre e buon senso cinico i siciliani appaiono come gli unici eccentrici italiani. Per via della loro insularità, che corrisponde a un atteggiamento
dello spirito, a un modo di vedere le cose. In questo senso, allora, credo che Majorana possa essere visto anche come un eccentrico.

La fisica è una materia difficile, per pochi adepti e appassionati, come ha maneggiato la sceneggiatura in tale funzione?
Con passione e grande fatica, ovviamente. Si tratta di argomenti complessi ma anche di straordinario interesse a patto di avere qualche curiosità. Struttura intima della materia, modello standard e particelle elementari, teoria della relatività generale di Einstein e meccanica quantistica. Senza contare che la fisica del nostro tempo s’interroga sulla natura del tempo e della mente.

Come mai la scelta degli inserti di animazione nel documentario?
La scelta di raccontare le presumibili ultime ore di Majorana con due diverse tecniche di animazione (2D e stop-motion) nasce dall’esigenza di effettuare una precisa e accessibile ricostruzione d’epoca e dalla volontà al tempo stesso di adottare una soluzione che vada oltre la mimesi di un azione dal vivo, creando pertanto uno stacco netto con la parte più documentaristica. Obiettivo
finale è intrecciare immagini e testo per produrre le emozioni che di solito fa solo un film di finzione.

La fotografia nei medesimi inserti animati è d’eccezione, si è detto «peccato che il film non fosse tutto animato», è così?
Sì, qualcuno l’ha detto e io non nego di averci pensato nella fase di progettazione
del film. Bisogna, però, considerare che Nessuno mi troverà è un film straindipendente a basso budget, e il cinema d’animazione ha un procedimento lento e costoso.

Ci parla un po’ del disegnatore?
Massimiliano Leonardo in arte Leomacs è l’autore dei disegni e delle illustrazioni che compongono le sequenze in animazione. Attivo principalmente nel mondo del fumetto, ha disegnato Nick Raider, Magico Vento, Volto Nascosto e Tex per la Bonelli, e si prepara a disegnare Dylan Dog. Si è da poco trasferito a Londra e attualmente lavora per un editore francese. Collaboriamo da tempo e questo è stato il suo esordio nell’animazione. Voglio menzionare anche lo staff degli animatori veri e propri, tutti ex allievi del Dipartimento di animazione del Centro sperimentale di cinematografia a Torino: Massimo
Ottoni, Martina Carosso, Francesca Quatraro e Mathieu Narduzzi. In cinque hanno fatto un gran bel lavoro, considerati i mezzi esigui a disposizione.

La figura di Enrico Fermi è ambigua nei confronti di Majorana: apprezzamento e una forma d’invidia sembrano la cifra, mentre la storia?
Ettore Majorana ha solo ventun anni quando si affaccia per la prima volta all’Istituto di Fisica di via Panisperna. Enrico Fermi, detto il “Papa” per la sua infallibilità, comprende subito con chi ha a che fare: quel ragazzo dalla pelle olivastra e gli occhi incredibilmente vivaci, così brillante e informato, così originale e critico, è il solo che può tenergli testa ed è anche l’unico che non può tenere a bada. Tra i due, insomma, non può darsi il normale rapporto maestro-allievo: per la padronanza della materia e la complessità delle argomentazioni teoriche affrontate il loro è sostanzialmente un rapporto alla pari.
Majorana possiede un’abilità matematica eccezionale e un certo gusto per la sfida. Fermi se ne accorge e appare a tratti confuso davanti a quel giovane così spiazzante e fuori dagli schemi.

Per quale sceneggiatura romperebbe il sodalizio con la Storia per il cinema
d’evasione?
Non saprei. I miei prossimi due progetti hanno una precisa ambientazione storica, ma in generale ho la stessa opinione di Wu Ming (il collettivo bolognese di scrittori) e di Valerio Evangelisti: dentro la Storia tutte le storie possibili e immaginabili.

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